di Patrick McCarthy
traduzione di Marco Forti
La conoscenza basilare delle usanze e della cultura giapponese facilita la comprensione delle sue arti, altrimenti spesso misteriose. Ciò è particolarmente vero nel caso in cui ricercatori non giapponesi tentino di capire la pratica e la filosofia delle arti marziali giapponesi. Troppo spesso gli studiosi stranieri del Budo sono disorientati da usanze ambigue, pratiche fortemente ritualizzate e comportamenti non familiari.
Secondo gli standard giapponesi, concetti quali fede cieca, lealtà al maestro e alla scuola, disciplina estrema, venerazione degli antenati e divieto di porre domande all’autorità costituiscono pratica comune.
Per gli occidentali, più pragmatici, la capacità di rimanere criticamente obiettivi dipende interamente dall’abilità di analizzare questioni nebulose e chiedere chiarimenti su risposte ambigue, indipendentemente dalla fonte dalla quale provengono.
L’approccio militaristico seguito dal Giappone per perseguire la riorganizzazione sociale nel corso del periodo Meiji promosse ideali di disciplina ed estrema lealtà non dissimili da quelli che avevano caratterizzato l’educazione dei Samurai. L’essere Giapponese implicava il culto dell’Imperatore, la lealtà per tutta la vita ad un capo o ad un’azienda, la venerazione degli antenati e la conformità agli interessi nazionali.
Nell’emergere da una struttura a casta gerarchica di tipo feudale, l’infrastruttura sociale del Giappone moderno mantenne le sue antiche usanze, un’ideologia omogenea e una profonda convinzione spirituale.
Il Kyoikuchokugo, scritto direttamente dall’Imperatore Meiji nel 1890, enfatizzava l’importanza dell’armonia nazionale e dell’educazione morale e spirituale.
Proprio nello sforzo di coltivare l’armonia nazionale, descritta come Wa, l’infrastruttura politica giapponese si rifaceva a tre documenti di vitale importanza per nutrire il modo di pensare e di agire dei Giapponesi, l’ideale dello Yamato Damashi e la visione del Giappone come “una grande famiglia felice”: Nihonjinron, Shushin e Kokutai no Hongi.
L’uscita dal feudalesimo, iniziata nel 1868, diede origine ad un tentativo fanatico di raggiungere il resto del mondo moderno che avrebbe portato a sfidare il dissenso economico e politico, e a determinare l’avvio di un periodo di radicale escalation militare destinato a sfociare in due guerre contro la Cina (1894 e 1937) una contro la Russia (1904) ed infine nell’ingresso nella Seconda Guerra Mondiale.
Okinawa, al contrario, considerata un avamposto geografico strategico dagli occupanti giapponesi, aveva in precedenza un’identità culturale ricca e diversificata con un’importante eredità di influenza cinese che risaliva al quattordicesimo secolo.
Forzata a tagliare il suo legame secolare con l’Impero di Mezzo e obbligata a pagare tributi al Giappone dopo essere stata soggiogata dai Satsuma all’inizio del diciassettesimo secolo, la prosperità di Okinawa era stata metodicamente dissanguata nel corso degli ultimi duecentocinquanta anni prima che l’ultimo re abdicasse e che il suo regno ormai dilapidato cadesse ufficialmente sotto la giurisdizione politica del Giappone, nel 1879.
Con l’istituzione della leva militare obbligatoria, nel 1891, gli ufficiali medici della madrepatria giapponese identificarono velocemente ad Okinawa la presenza di prestanza fisica e potenzialità combattive nei giovani coscritti allenati al karatejutsu. Questa scoperta diede il via all’interesse che avrebbe portato all’introduzione del karatejutsu nel sistema scolastico di Okinawa (1905, ad opera di Itosu Anko) con il pretesto che corpi forti e menti sane avrebbero contribuito a costruire una nazione migliore.
Nel tentativo di attirare il sostegno dell’opinione pubblica al regime nazionalista, la tipica propaganda governativa sostenne che il Budo (di cui il karate sarebbe diventato parte) era il modo in cui «uomini comuni raggiungevano un coraggio non comune». Tale propaganda non solo servì efficacemente ad attrarre molti ma aiutò a diffondere il principio della grande famiglia felice.
Nello sforzo di rendere la disciplina del karatejutsu, dalla chiare origini cinesi, più vicina alla filosofia ed alla pratica del budo giapponese, il Dai Nippon Butoku Kai fissò i criteri che i pionieri dell’Arte di Okinawa avrebbero dovuto seguire:
Le richieste del DNBK che si incentravano sulla necessità che il Karate sviluppasse un curriculum di insegnamento uniforme differenziandosi dalle proprie origini cinesi, che adottasse un’uniforme standard di allenamento ed un sistema di graduazione, che sviluppasse un sistema di competizioni e che riducesse ulteriormente gli aspetti più violenti ancora presenti nella pratica, erano state quasi completamente esaudite (mancava ancora un sistema di competizioni cui però Funakoshi si oppose fermamente e che avrebbe tardato ancora un paio di decenni prima di affermarsi).
Nel dicembre del 1933 il Dai Nippon Butoku Kai ratificò il riconoscimento del Karate-do (la Via della Mano Vuota) come Arte del Budo Giapponese.
Patrick McCarthy