di Patrick McCarthy
traduzione di Marco Forti
Gli atti abituali di violenza fisica rappresentano la tipologia fondamentale di attacco (uno contro uno e a mani nude) utilizzata nel corso di episodi di violenza comune durante il 19° secolo in Cina. Essi formarono la base sulla quale i pionieri delle arti marziali svilupparono adeguate risposte attraverso la creazione di esercizi a coppie.
Tema dimenticato nel karate moderno, l’aver ripristinato gli atti abituali di violenza fisica come premessa contestuale originaria contro cui l’efficacia di tutte le abilità fondamentali di combattimento veniva testata e l’aver trovato loro collocazione come pratica accettata, ha riportato vita ad una pratica eccessivamente ritualizzata.
Ricreando metodicamente gli scenari di aggressione domestica che originariamente minacciavano il benessere della popolazione cinese, si sviluppa l’abilità di percepire le reali intenzioni ed il significato delle pratiche tramandate attraverso quel meccanismo affascinante chiamato kata.
Quando le tecniche prescritte sono collegate ed eseguite sotto forma di sequenze a solo, emerge qualcosa di più grande della somma totale delle singole parti: il kata.
I praticanti delle arti di combattimento studiano prima la funzione e poi si affidano alla ricostruzione della routine a solo per esprimere la propria abilità, rafforzare il proprio condizionamento mentale, fisico e olistico.
Un tempo pratiche consolidate nella storia di quest’arte, gli HAPV (dall’acronimo inglese Habitual Acts of Physical Violence, N.d.T) rappresentano la premessa contestuale originaria contro cui venivano testate e approvate tutte le fondamentali abilità di combattimento.
Ricreando metodicamente questi scenari di attacco violento, che maggiormente minacciano la nostra incolumità, possiamo inoltre scoprire, comprendere e applicare i modelli difensivi tramandati attraverso i kata.
Per quanto possa apparire ironico, comunque, questa componente catalizzante è stata completamente dimenticata nella moderna interpretazione del karate.
Eppure è proprio questo meccanismo, ovvio e indispensabile, che rende efficace il tutto.
Un tempo “indovinelli avvolti nel mistero all’interno di un enigma“, mi ci vollero anni di ricerca per arrivare a quella che – in sostanza – è una spiegazione così semplice!
Identificare gli HAPV fornì ai pionieri dell’arte un contesto definitivo da cui studiare, testare e sviluppare pratiche di combattimento efficaci.
Si potrebbe pensare che una premessa così ovvia dovrebbe essere evidente anche al più convinto “miscredente”, eppure, apparentemente a causa della mancanza di documentazione storica a sostegno di questa ipotesi (se – in effetti – di documentazione storica ce ne fosse mai stata), permane un movimento, fortunatamente sempre più esiguo, di oppositori appartenenti a correnti conservatrici.
Apparentemente felici di accettare ciecamente pratiche limitate da regole sportive, incongruenti e non soggette a contestazione che chiaramente non rappresentano atti abituali di violenza fisica, i gruppi cosiddetti “tradizionali” argomentano che non è possibile determinare le intenzioni originarie alla base dei kata in quanto i pionieri non lasciarono istruzioni o spiegazioni scritte.
Chiedo allora semplicemente e in tutta sincerità, cosa potrebbe essere più trasparente della premessa fornita dagli atti abituali di violenza fisica?
Atti abituali di violenza fisica |
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