di Patrick McCarthy
traduzione di Marco Forti
Introduzione
Affrontando i problemi legati all’apprendimento indiscriminato, il matematico e filosofo francese Henri Poincaré (1854-1912) scrisse: «La scienza è costruita sui fatti come una casa è costruita con i mattoni, ma il mero accumulare fatti non è scienza così come una pila di mattoni non è una casa».
Ritengo che l’osservazione di Poincaré non debba essere ricondotta unicamente alla sua epoca o alla matematica. Infatti credo possa essere applicata anche al modo indiscriminato con cui ai nostri giorni si studia il Karate. Nonostante la metodologia di insegnamento attuale abbia prodotto ottimi combattenti e agonisti nel settore kata, i praticanti continuano a studiare i kata senza comprendere la natura fondamentale dei suoi temi difensivi o dei principi applicativi. È come studiare una canzone in una lingua straniera; se non si conosce quella lingua, il significato delle parole rimarrà sempre un mistero.
Il vecchio contro il nuovo (l’arte contro lo sport)
Se ci fossero dubbi sull’attuale livello cui è assurto il Karate in questi giorni sarebbe sufficiente assistere ad una gara per rendersi conto di come la moderna tradizione continui a produrre combattenti e praticanti di Kata eccellenti. Non ci sono dubbi sul fatto che i karateka di oggi, se comparati a quelli dell’epoca pionieristica in cui l’arte veniva sviluppata, abbiano raggiunto l’apice dell’atletismo fisico.
Comunque una domanda che vale la pena di porsi è: «la tradizione competitiva o i suoi metodi di allenamento basati sui regolamenti di gara, rispondono in maniera adeguata alle problematiche difensive per le quali era stata sviluppata originariamente l’arte?»
Io credo di no!
Domanda ancor più importante: «quanti allievi mal guidati sono onestamente convinti di apprendere l’arte originaria quando in realtà non lo stanno facendo?»
Questa controversia tra le autorità sportive e i sostenitori dell’arte permane unicamente a causa di fraintendimenti e assetti mentali inflessibili. Semplicemente, il fallimento nel riconoscere la differenza tra le intenzioni difensive originarie del karate (nascoste nei movimenti dei kata) e i metodi di allenamento attuali (sviluppati a partire da e per le competizioni regolamentate, basate su combinazioni di pugni opposti e calci frontali) resta uno dei più grandi rompicapi nel mondo del karate odierno. Per quanto si stia discutendo su due lati della stessa medaglia, ciò che separa le due scuole di pensiero non è certo più importante di quello che può unirle. Sfortunatamente l’orgoglio, l’insicurezza ed il protezionismo rimangono all’avanguardia di questa resistenza.
Nessuna delle due parti nega il fatto che atleti agonisti ben allenati possono cavarsela adeguatamente in un confronto reale potenzialmente pericoloso. Gli agonisti hanno una condizione fisica eccellente, possiedono un arsenale impressionante di strumenti percussivi (calci, percosse e colpi di pugno) e possono velocemente assumere un atteggiamento aggressivo. Che non siano estranei al mutuo confronto significa che sono meglio preparati dell’uomo comune ad affrontare un aggressore per la strada. Comunque essere afferrati o gettati a terra (un’eventualità che capita molto frequentemente negli scontri reali, soprattutto quando uno decide di resistere) richiedere un set di principi applicativi e di strategie difensive completamente differente.
La capacità di difendersi efficacemente contro atti di violenza fisica abituale (HAPV dall’acronimo inglese Habitual Acts of Physical Violence) come clinch, atterramenti e/o situazioni di lotta che ci portano a terra richiede metodi di allenamento differenti da quelli nati o usati per la preparazione alle competizioni di karate.
Provate a porre a voi stessi questa domanda: «Il mio stile include difese efficaci contro, ad esempio, l’essere afferrato in bear-hug (abbraccio dell’orso) bloccato in head-lock o strangolato?» E ancora «cosa farei se venissi buttato a terra?»
La verità è che nessuno nel corso di un’aggressione reale vi attaccherà mai con un pugno opposto ben controllato, né attenderà immobile che voi possiate eseguire la vostra difesa segreta sul “punto di pressione”.
Chi intende causarvi un grave danno fisico non vi darà alcun preavviso e sarà brutale, imprevedibile e senza pause nel suo assalto.
Credere che la teoria «un colpo, una vita» trasmessa come vangelo nei gruppi di Karate tradizionale sia un deterrente efficace è tanto ingenuo quanto credere al coniglietto pasquale o al fatto che i KO a distanza basati sulla “trasmissione del Ki” funzionino nella realtà.
Se non siete tra i sempre più numerosi praticanti che già si pongono queste domande allora forse questa presentazione può spingervi a notare le ovvie differenze tra l’arte e lo sport. La cosa importante da tenere in mente mentre si legge questo testo è comprendere che non è inteso a criticare lo sport, screditare un istruttore, diffamare uno stile o mancare di rispetto ai Giapponesi. È un tentativo sincero di portare la vostra attenzione alle differenze non così ovvie che separano la tradizione moderna dai metodi classici.
È difficile allontanarsi dall’atteggiamento mentale diffuso secondo cui i pionieri Okinawensi avevano tutte le risposte. Spesso sento commenti come «Bene, questo è il modo in cui eseguiva Shimabuku» o «è scritto così su quel tal libro». Non voglio certo mancare di rispetto ad alcun pioniere dell’arte e le mie osservazioni sono puramente accademiche, credo però che questo approccio basato sulla fede cieca sia poco funzionale allo stimolare il pensiero critico.
Se si è capaci di pensare fuori dagli schemi diventa immediatamente chiaro che le prese, la lotta e gli altri atti di violenza fisica abituale correlati costituiscono le premesse contestuali dei kata.
Quando si comprende questo contesto difensivo, cinque aspetti diventano chiari: 1) viene identificato il bersaglio anatomico; 2) è rivelata l’arma anatomica associata; 3) viene stabilito l’angolo relativo al trasferimento di energia; 4) viene stabilita la direzione di tale trasferimento di energia. Il quinto elemento della formula è l’intensità del trasferimento di energia che è determinato dalle circostanze e dal risultato voluto.
Per questo è così importante ricercare e ricostruire i kata più antichi e “originali” poiché le interpretazioni moderne (shite-gata: kata standardizzati per finalità competitive) sono stati alterati per rispondere a canoni estetici e non all’insito valore difensivo; in pratica ci si è concentrati sulla forma, non sulla funzione.
Capire che le finalità difensive originariamente utilizzate dai pionieri sono diametralmente opposte agli scopi influenzati dai regolamenti agonistici su cui si basa il Karate moderno, spero renda cristallino al lettore non solo il perché i metodi di allenamento classici erano/sono così diversi dagli attuali ma anche perché sono oggi praticamente scomparsi: il Koryu Uchinadi rappresenta il nostra tentativo di ripristinare il meglio di questi metodi antichi.
Contesto storico
È sempre stata la struttura del corpo umano, le sue funzioni e vulnerabilità anatomiche comuni che hanno dettato i metodi più efficaci per afferrare e colpire, così come i relativi principi della biomeccanica che supportano il trasferimento dell’energia cinetica allo scopo di impedire al meglio la performance motoria costituiscono il fine ultimo della difesa personale. Indipendentemente da quello che viene insegnato oggi da una miriade di scuole, stili e sistemi diversi nel mondo, questi principi sono immodificabili e devono essere completamente ed adeguatamente compresi per raggiungere la maestria dell’arte.
Basandosi su questa verità universale, l’uomo ha continuamente cercato metodi diversi attraverso i quali migliorare la propria comprensione dei principi immutabili della difesa personale. Attraverso generazioni di osservazioni empiriche, i monaci dell’antica Cina furono in grado di identificare e classificare non meno di 36 differenti atti di violenza fisica abituale (forme standard di attacco) che affliggevano la società in cui essi operavano. Da questi temi offensivi svilupparono almeno 72 diverse varianti relative al confronto e alla lotta che spesso ne scaturiva. Risoluti a vivere in armonia con la natura e i propri confratelli, i monaci abbracciarono il pacifismo e la convinzione che se e quando l’ego venisse controllato, il bisogno di violenza fisica poteva essere ridotto ad un caso fortuito.
I metodi di allenamento che svilupparono, (indipendentemente da alcune forme di combattimento che possono essere stati utilizzati durante alcuni periodi della storia di Shaolin) erano guidati dagli scopi di difesa non letale che desideravano raggiungere.
Costruite su principi anatomici immutabili e sulle corrispondenti leggi naturali, vennero sviluppate una pletora di tecniche individuali configurate in 18 esercizi compositi (hsing in cinese mandarino; Kata in giapponese) che finirono per rappresentare lo standard Shaolin attraverso cui un totale di 108 temi offensivi potevano essere efficacemente contrastati. Storicamente questo fenomeno rappresenta la base su cui si è sviluppato il Karate.
Il Kata rappresenta il filo conduttore dal quale si sono sviluppate le diverse tradizioni del Karate. L’emulazione fisica ritualizzata costituisce un concetto mnemonico che si è sviluppato prima del linguaggio scritto ed è stato a lungo utilizzato da molte culture come il metodo più efficace attraverso il quale propagandare e trasmettere importanti idee e concetti. Influenzati profondamente dalla cultura in cui tali fenomeni si sono evoluti, i metodi di allenamento finirono per rappresentare il segno distintivo dei gruppi che resero popolari tali pratiche. Comunque, i temi offensivi che caratterizzano tutte queste pratiche sono sempre esattamente gli stessi. Diversi metodi per afferrare e colpire possono contrastare una pletora di atti di violenza fisica abituale perché il corpo umano è unico. Comunque oggi il messaggio fondamentale è stato largamente dimenticato e ciò è in larga parte dovuto all’ambiguità della sua evoluzione, così come all’enfasi posta sull’aspetto competitivo e sui metodi di allenamento che supportano i risultati basati sui regolamenti di gara.
Questa generazione ha assistito alla crescita di un numero di gruppi di studio finalizzati alla riscoperta delle finalità originarie dei kata. L’International Ryukyu Karate Research Society è uno di questi gruppi, dedicati alla riscoperta, all’analisi, al miglioramento e alla trasmissione dei principi originari sui quali si basano i kata. L’enfasi sugli scopi competitivi moderni ha portato alla nascita di corrispondenti metodi di allenamento che portano a risultati diversi da quelli per i quali erano stati creati i kata. Nel Koryu Uchinadi sono stati riscoperti gli esercizi a due persone (tegumi e futari-geiko) che ricollegano effettivamente le tecniche fondamentali agli originali temi difensivi e ai corrispondenti principi applicativi.
Attraverso una lunga analisi storica l’IRKRS ha scoperto che questo tipo di allenamento è molto più vicino alle pratiche originarie del Karate classico e che porta il praticante alla comprensione dei temi difensivi presenti nei kata.
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