Il legame simbiotico tra Okinawa e la regione del Fujian in Cina, protrattosi per secoli durante il periodo dell’antico Regno delle Ryukyu, ci aiuta a comprendere come l’arte di combattimento cinese sia entrata a far parte della cultura dell’isola, in particolare attraverso il canale privilegiato rappresentato dal piccolo villaggio di Kume, nei pressi di Naha, all’epoca rigoglioso centro della cultura cinese ad Okinawa.
L’arte marziale cinese [中國武術], conosciuta anche come Wushu/武術 [Bujutsu in giapponese], Gongfu/Kungfu/功夫 e/o Quanfa/拳法 [Kenpo in giapponese], è costituita da numerosi stili di combattimento sviluppati in Cina nel corso dei secoli.
Tali stili di combattimento sono spesso classificati secondo tratti comuni e identificati da termini quali famiglia/家 [jiā in cinese e ka in giapponese], branca/派 [Pài in cinese e ha in giapponese] e scuola o stile/流 [Ryu in giapponese].
I tatti distintivi possono essere riferiti a particolari esercizi fisici che mimano, ad esempio, movimenti animali, oppure a metodi di allenamento ispirati a filosofie, religioni e leggende.
Secondo un’altra classificazione gli stili focalizzati sulla circolazione/manipolazione dell’energia vitale sono definiti interni [内家拳/nèijiāquán], mentre quelli incentrati sulla prestanza fisica sono definiti esterni [外家拳/wàijiāquán].
Un altro metodo molto diffuso per classificare gli stili di combattimento cinesi è quello della provenienza geografica, nel qual caso si parla di stili del nord [北拳/běiquán] e del sud [南拳/nánquán].
Un’espressione popolare in Cina “南拳北腿/Nan Quan Bei Tui” (letteralmente: “pugni del Sud, gambe del nord“) sottolinea gli aspetti maggiormente enfatizzati nelle forme/sequenze [套路/Taolu in cinese – 型/Kata in giapponese] dei diversi stili.
Dal punto di vista geografico il Karate di Okinawa deriva prevalentemente dagli stili del sud della Cina, ciò è evidenziato dal particolare uso delle gambe negli spostamenti, dai metodi utilizzati per colpire con gli arti superiori e dalla relativa scarsità di salti e tecniche di calcio a livello alto.
Le forme (Kata) erano intese originariamente come atto culminante nel percorso di apprendimento dei principi di combattimento. Venivano trasmessi agli studenti avanzati, selezionati per migliorare, preservare e trasmettere il lignaggio dell’arte.
A differenza di quanto accadeva in Cina, dove gli stili di combattimento possedevano lignaggi intatti per generazioni, la storia del Karate di Okinawa non condivide una simile eredità.
Anche se facciamo risalire gli stili attuali a nomi del passato come Toudi Sakugawa, Bushi Matsumura, Itosu Anko, ecc., l’arte eclettica che viene studiata, praticata ed insegnata nel ventunesimo secolo ha ben poco a che fare con la tradizione del passato.
Nonostante i riferimenti generici alla Cina (del tipo: i kata possono essere ricondotti agli stili del quanfa della Cina del Sud come Yongchun, Pugno del Monaco, Gru Bianca, ecc…) – con l’eccezione di pochissimi – nessuno dei kata del Karate di Okinawa è mai stato ricollegato ad una specifica fonte, data e scuola cinese.
Infine, un’enorme parte mancante dell’eredità basata sui kata è l’assenza delle pratiche a due persone ad essi collegate.
La confusione che regna oggi in merito all’applicazione pratica dei kata risale alla campagna promossa da Itosu all’inizio del secolo scorso allo scopo di fornire supporto al Giappone nel periodo di rapida escalation militare.
Quando le tecniche di allenamento a due persone basate sulle premesse contestuali vennero rimpiazzate da obiettivi focalizzati unicamente sul raggiungimento della forma fisica e sulla diffusione della conformità sociale per la produzione di coscritti militari fisicamente dotati, si sviluppò qualcosa di profondamente diverso da quello che era lo scopo dei pionieri dell’arte.
I Kata sono collezioni astratte di applicazioni pratiche concettuali collegate in sequenze geometriche creative. Ciò che dona vita a tali formule astratte sono le loro premesse contestuali.
Il Karate classico (di vecchia scuola o pre-“tradizionale”) usava infatti pratiche di allenamento a due persone basate sullo scenario reale con lo scopo di portare ogni praticante fuori dalla sua zona di comfort e testarlo nel corso di ogni sessione.
In passato studi empirici fornirono un’opportunità unica per identificare gli atti di violenza fisica comune che affliggevano la società civile. Tali premesse contestuali vennero approfonditamente ricostruite per essere studiate attraverso metodi specifici basati su esercizi a due persone.
L’uso della resistenza aggressiva e la ricostruzione di scenari violenti – seppur in ambiente controllato – abituavano il praticante alla spinta adrenalinica che si verifica prima, durante e dopo il confronto ed insegnavano a gestire la paura.
Praticamente ogni atto di violenza fisica comune poteva essere approcciato in questo modo.
Essere portati fuori dalla propria zona di comfort, sperimentare la sconfitta, il fallimento e altre sfide avverse mantiene umili e nutre la “mentalità del principiante”; senza tutto questo si rischia di cadere nell’autocompiacimento.
Mano a mano che il repertorio di applicazioni pratiche a disposizione dei praticanti cresceva nacque l’idea di collegare tali concetti individuali in sequenze dinamiche a solo che divennero le basi da cui si svilupparono i diversi stili.
Tali sequenze non solo culminavano lezioni importanti già studiate, ma fornivano meccanismi creativi attraverso i quali impartire insegnamenti intramontabili ed esprimere la prestanza fisica rafforzando nel contempo il condizionamento mentale e fisico.
Collegando le parti a solo delle pratiche applicative a due persone secondo sequenze geometriche, i pionieri dell’arte riuscirono a creare qualcosa di più grande della somma totale delle sue componenti.