di Patrick McCarthy
traduzione di Marco Forti
Ho imparato tanto tempo fa che focalizzarmi unicamente sulla storia, sulla teoria e sulle applicazioni del mio stile significava limitare la conoscenza e la comprensione della tradizione del Karate in generale.
Una cosa del genere mi avrebbe impedito di cogliere l’Arte per come era stata realmente concepita.
L’idea di fondare il Koryu Uchinadi non è mai stata intesa come il voler semplicemente creare un nuovo “stile” in quanto tale, ma piuttosto una struttura coesiva e coerente di pratiche applicative (che ho scoperto e sistematizzato durante i numerosi anni in cui ho abitato e studiato in Giappone, Cina e Sud Est Asiatico) che potessero essere anche utilizzate nell’ambito di qualsiasi stile rafforzandone le basi senza comprometterne l’apparenza estetica.
Dopo tutto, l’insieme degli atti di violenza fisica dai quali l’arte di autodifesa è nata e si è evoluta non discrimina né cambia da stile a stile. Da qui emerge il valore incommensurabile della teoria degli atti di violenza fisica abituale ed il sistema coerente di esercizi a due persone quale formula per lo studio e la comprensione dei kata, indipendentemente dallo “stile”.
Un tempo di uso comune durante il periodo dell’antico Regno delle Ryukyu, tali pratiche sono antecedenti allo sviluppo del Karate giapponese moderno (Shoto, Shito, Wado, Kyokushin, ecc…) e sono raramente usate negli “stili di Okinawa” (Shorin, Isshin, Goju, ecc…), la cui evoluzione risale al secondo dopoguerra e che sono stati a loro volta fortemente influenzati dal Karate giapponese .
Rappresentando sia la premessa contestuale che gli aspetti funzionali applicativi dell’autodifesa, questo sistema unico di pratiche a due persone è l’anello di congiunzione tra Kata e Kumite ed è, secondo la mia opinione, esattamente quello che l’arte, secondo i pionieri delle origini, avrebbe dovuto rappresentare.